Di Selene Di Domenicantonio
Come al solito, mi piace tenermi un po’ i film nella testa per lasciarmi andare alle varie riflessioni, evocazioni e impressioni che vale la pena metabolizzare.
Per “Birdman” ci ho messo poco, avendolo visto appena ieri, ed è stato un virtuosismo visionario che mi ha dato parecchie soddisfazioni visive e spunti di pensieri. Sapevo già che sarei andata a vedere un particolare, e magistralmente diretto, piano sequenza, “finto” per così dire, dove gli stessi punti di raccordo tra le varie scene permettevano i cambi temporali in modo fluido e scorrevole.
Questo mi fa ricordare un altro celeberrimo film girato in piano sequenza, Rope di Alfred Hitchcock, nel quale una ripresa più stretta su alcuni particolari scuri della scena (tipo le giacche dei personaggi) davano modo al regista di cambiare la bobina.
Birdman è un film vortice di elaborazioni mentali, in cui la macchina da presa diventa l’estensione di una schizofrenica indagine verso l’ interpretazione della realtà, inserita in un’ altra realtà, fittizia, costruita, come quella teatrale, che a sua volta si incastra in quella volubile dell’opinione pubblica e della critica.
Troppo clamore davanti e dietro le quinte, le opinioni di miliardi di persone si ribaltano voracemente sul web, quelle invece di chi ha il potere della penna sono plasmate sull’ interesse, sulla simpatia a priori, sui pregiudizi e sulle “etichette”, come ricorda lo stesso protagonista. “Una cosa è una cosa, non ciò che si dice su quella cosa”, recita, tra l’altro, un promemoria nel camerino di Riggan.
La ricerca artistica di Riggan è la sua ossessione, la volontà di dimostrare che la sua arte ha uno spessore, che in realtà nasconde il bisogno di essere riconosciuto, approvato, stimato. Amato? Non so, forse, come dice la sua ex moglie, “L’ammirazione spesso non coincide con l’amore”. E l’amore è la “scusa” del suo tornare alla ribalta sui palchi di Broadway, il titolo del suo spettacolo, la Domanda fulcro: “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?”. Già, di cosa parliamo? Vediamo più e più volte il suo personaggio in scena spararsi (e l’ultima volta per davvero e persino in un raro momento di lucidità) perché la sua donna l’ha tradito, perché “cosa ho che non va per non essere amato?” .
L’ossessione offusca l’amore, anche verso Sam, figlia sensibile ex tossicodipendente, l’unica che, sgranando quegli occhi giganti, riesce a schiaffeggiare l’eterno padre bambino sulle proprie responsabilità di uomo, che in silenzio si prende cura di lui, con fiori profumati ( di cui lui non riesce a sentire l’odore) e account di social network, ossia un altro mondo in cui perdersi, in cui una corsa in mutande per Times Square può ricevere consensi e diventare fenomeno virale più dell’ accurata trasposizione teatrale di un capolavoro letterario.
Birdman è l’alterego di Riggan, parte viva del surrealismo del film, la faccia intima di se stesso, personaggio che appare come voce inquietante e come uomo rapace, ombra del protagonista, consigliere e tentatore di un ritorno al passato, al glorioso successo da blockbuster, all’azione frenetica che “piace tanto alla gente, non come quelle noiose opere filosofiche di cui non importa a nessuno”. Riggan in realtà rimane supereroe anche dopo 20 anni, e tiene nascosti poteri soprannaturali, come la capacità di muovere le cose a distanza. Non è capace pienamente di usare queste straordinarie abilità, sfruttandole solamente come valvola di sfogo, attraverso cui canalizzare la rabbia, facendole risultare del tutto inutili persino alla propria autostima, rivelandone un potere distruttivo, più che creativo.
L’uomo-uccello è un incastro tra l’aspirazione e la salvezza, il dilemma contemporaneo: rinunciare all’idea dell’elevazione dell’arte accostata a principi filosofici o lasciarsi andare alla semplicità dell’azione fugace, senza pretese intellettuali o avvicinarsi addirittura al gossip? Ma poi, la soddisfazione di “essere arrivati da qualche parte” è realizzabile oppure si tratta di un’illusione impalpabile anche questa? si chiede tra le righe un’adulta Leslie al suo esordio a Broadway. La consolazione è reciproca, forse palliativo di un’irraggiungibile pace di coscienza.
Il teatro nel cinema, metaspettacolo, un re-wind continuo di scene sul palco alla ricerca dell’intenzione vera. La rivalità con Mike, ostacolo al raggiungimento del successo personale, ma forte occasione di confronto tra personalità artistiche. E poi, la scoperta di un affetto semplice tra Mike e Sam, che nasce coi piedi a penzoloni sui tetti del palazzo, nascosto dietro al gioco “obbligo o verità”, la rivelazione adrenalinica di sentirsi visti e ritenuti belli per quello che si è, senza ostentare nulla di più di sé.
Surreale anche l’inserimento della Drum score, la colonna sonora con un solo di batteria, che ci introduce nel film e scandisce i titoli di testa e di coda, in un montaggio sincronico delle lettere che compongono i nomi del cast, e si inserisce all’interno delle carrellate nel film stesso, nelle quali la macchina da presa riprende di sfuggita un batterista intento a mantenere il suo ritmo interno e allo stesso tempo a sottolineare, fuori campo, i cambi umorali di Riggan.
Tutto è sapientemente collegato, un andamento quasi danzante di carrellate, steady -cam, riprese a volo d’uccello (appunto), time-lapse, effetti speciali e voci fuori campo che anticipano le scene e le rivelazioni sottili.
In fondo, tra intrecci labirintici verso una nuova cognizione, verso il successo finalmente assodato, dopo un gesto estremo e sanguinoso, Birdman è una tenera meteora infuocata, che cerca solo di volare ancora.
Birdman – o le incredibili virtù dell’ignoranza. Cosa mi ha lasciato diSelene Di Domenicantonio è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
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Selene Di Domenicantonio